Quando una mente diventa “satura” è più facile assumere l’atteggiamento di paziente.
Dopo la specializzazione in psichiatria ho sentito la necessità di specializzarmi in psicoterapia. Tutti gli studi mi portavano sempre alle stesse conclusioni: le cose accadono nelle relazioni ed hanno sempre un contesto come sfondo.
I rapporti con le persone significative se sono conflittuali, competitivi e negativi fanno ammalare; viceversa, se sono armonici, positivi e cooperativi portano a guarigione. Il contesto, soprattutto quello familiare, rappresenta invece l’atmosfera che da’ vita e significato a tutte le relazioni.
Quando divenni consapevole che per comprendere l’individuo dovevo osservare la sua famiglia intrapresi una formazione sistemico-relazionale.
La passione per la cura con la psicoterapia cresceva nel tempo e, agli inizi degli anni ’80, mi convinsi di avere una sorta di mission: insegnare gli elementi essenziali della terapia sistemico-relazionale.
Nel tempo avevo realizzato che la psicoterapia non doveva seguire il modello medico e, dunque, che era assolutamente controproducente costruire protocolli. Era, invece, indispensabile apprendere come strutturare una relazione terapeutica autentica necessaria allo sviluppo di un processo evolutivo. Si trattava di approfondire un modello terapeutico imparando come usarlo per fare con i pazienti “viaggi non organizzati”, finalizzati ad aiutarli ad abbandonare la sofferenza per conseguire una qualità di vita più armonica e soddisfacente. Compresi che ogni terapeuta ha un proprio talento nascosto e, oltre alla necessità di insegnare tecniche e regole di setting, fondamentali per condurre un processo terapeutico, la formazione avrebbe dovuto aiutarli a sviluppare i loro talenti personali.
Tutto questo mi proposi tanti anni fa e la Scuola di Specializzazione, gestita dall’Istituto di Psicoterapia Relazionale, grazie alla grande passione dei didatti che vi insegnano, riesce quasi nella totalità dei casi, in questo ambizioso intento.